Lo zafferano è noto sin dai tempi più remoti: Omero, Virgilio e Plinio lo citano nelle loro opere, vantandone le virtù nell'arte culinaria e non solo. Nelle "metamorfosi" di Ovidio si narra che Croco era innamorato, non corrisposto, di una ninfa; gli dei allora lo trasformarono in una pianta, il Crocus Sativus appunto, mentre la fanciulla divenne una Smilax Aspera.
Nella mitologia romana la spezia è; collegata alla figura del Dio Mercurio, protettore dei commerci e dei guadagni, che, avendo sbagliato il lancio del disco, colpì a morte il suo amico Crocus e fece tingere del suo sangue il fiore della pianta affinché gli uomini, attraverso il colore e il nome lo ricordassero per sempre.
Ne parlano anche il "Cantico dei Cantici" e il papiro egizio Ebers. Il termine "zafferano" deriva dal latino "safranum", che a sua volta rimanda all'arabo "za'fran che significa "giallo". Questa spezia è originaria dall'oriente: dall'Asia Minore i Parti prima, gli Arabi poi la introdussero nell'Africa settentrionale e da qui in Spagna, ma anche in India, Tibet, Cina.
Non si conosce la data precisa in cui lo zafferano venne introdotto in Italia dalla penisola iberica, ma sappiamo con certezza che i bulbi vennero importati nel 1300 dal padre domenicano Cantucci di Navelli, che, sotto il dominio di Filippo II di Spagna, alternava il suo ruolo nell'inquisizione alla passione per l'agricoltura; egli si innamorò dell'aromatica piantina, studiò la natura del terreno ad essa più congeniale, quindi iniziò nella nostra penisola la sua coltivazione.
Fece tutto ciò sfidando le severe leggi emanate dalla Spagna che, rendendosi conto di quanto fosse prezioso l'oro rosso, per salvaguardarne il monopolio condannava chi cercava di esportare i bulbi fuori dal paese alla prigione e persino alla morte.
Oggi in Italia abbiamo piccole coltivazioni in Abruzzo, nelle Marche e in Umbria, nel Senese e in Sardegna.
Gli utilizzi dello zafferano
In passato era utilizzato non solo in gastronomia, dove veniva aggiunto a cibi e vino per aromatizzarli; è responsabile del colore caratteristico del curry indiano e si usa nella paella. Il sovrano inglese Enrico II l'amava talmente in cucina che proibì a tutta la sua corte di servirsene per altri usi. Nel 1450 Martino De Rossi, celebre cuoco del tempo, imbandiva le tavole degli Sforza utilizzando lo zafferano in circa settanta ricette tra primi, secondi, contorni, dolci.
Nel 1500, come racconta una leggenda, fu per caso utilizzato nella preparazione del famoso risotto alla milanese; se ne serviva, infatti, per colorare le vetrate del duomo di Milano il fiammingo mastro Valerio da Profondovalle e un giorno, al pranzo di nozze della figlia, per caso lo zafferano gli cadde sul risotto che, assaggiato non senza diffidenza, fu poi trovato squisito.
Questa spezia veniva anche adoperata per la tintura delle stoffe più preziose, dagli abiti degli Assiri e del re d'Irlanda, alle calzature del re di Babilonia, alle bende con cui si avvolgevano le mummie egizie. Le spose dell'antica Roma portavano dei veli tinti con lo zafferano e questa tradizione giunse sino al Medioevo, quando le nobili dame sotto gli abiti nuziali indossavano una tunica di seta, anch'essa tinta con lo zafferano, probabilmente in relazione alle sue proprietà afrodisiache.
Ancora oggi in Sardegna la caratteristica colorazione gialla di molti costumi tradizionali si ottiene proprio dal Crocus Sativus, così come alcuni tra le tinte più belle dei fili di lana degli splendidi tappeti persiani e il meraviglioso rosso dell'abito del Dalai Lama.
Questa spezia aveva un ruolo importante anche per la cosmesi: le donne con essa si tingevano le guance, le labbra, le unghie e i capelli; Cleopatra la utilizzava per dare alla sua pelle un bel colore dorato. Inoltre rientrava spesso tra i componenti di molti oli profumati e creme e anche oggi, con il rinnovato interesse per la cosmesi naturale, è impiegata nell'arte profumiera. I Greci la usavano per aromatizzare gli ambienti, veniva usata per preparare misture da bruciare durante le cerimonie religiose, ad esempio a Gerusalemme, e nella Roma imperiale le sue essenze si spargevano nelle sale dei banchetti mentre gli ospiti riposavano su cuscini fatti dai petali del fiore. Nelle miniature sostituiva molto spesso l'oro, così come nelle vetrate artistiche; con essa si tingeva pure il cuoio.